IL TRIBUNALE PER L'UDIENZA PRELIMINARE

    A  scioglimento  della  decisione  riservata  all'udienza  del 26
novembre 2000 ha emesso la seguente ordinanza.
    Rilevato  che  l'imputato  e'  stato  identificato sulla sua sola
parola,  in  quanto  era  sprovvisto  di  documenti  e  non  e' stato
effettuato  alcun  rilievo foto-dattiloscopico, poiche' gli agenti si
sono  contentati  di  verificare  che  rispetto  al  nome  dichiarato
dall'imputato esisteva gia' un cartellino foto-dattiloscopico.
    Ritenuto   che  possa  essere  emessa  sentenza  di  non  doversi
procedere   per  essere  ignoto  l'autore  del  delitto,  secondo  la
giurisprudenza pacifica di questo collegio in casi analoghi (imputati
extracomunitari,  sedicenti, per i quali non siano stati effettuati i
rilievi foto-dattiloscopici al momento dell'identificazione).
    Rilevato  che  il  difensore  non  ha  prestato  il consenso alla
definizione del procedimento nella fase dell'udienza preliminare.
    Rilevato   che   l'eventuale   dichiarazione   di  illegittimita'
costituzionale  dell'art. 32 d.P.R. n. 448/1988 (nel testo risultante
dopo  la  riforma effettuata con legge n. 63 del 1 marzo 2001), nella
parte  in  cui  si subordina la definizione dei procedimenti minorili
nella  fase  dell'udienza  preliminare al consenso del difensore "nei
casi  previsti  dall'art.  425  c.p.p."  appare rilevante nel caso di
specie, in quanto in mancanza del consenso del difensore si impone la
celebrazione   del   giudizio  dibattimentale,  il  cui  esito  sara'
certamente  inutile,  dal momento che l'eventuale condanna non potra'
essere  in  alcun  modo  eseguita,  poiche'  non  vi  sara'  modo  di
dimostrare  che  il  soggetto  verso  il quale lo Stato eventualmente
indirizzera'  la  pretesa  punitiva, sia lo stesso identificato dagli
agenti  della  polizia,  mentre  il  procedimento  puo'  essere  gia'
definito in questa sede.
    Rilevato che l'illegittimita' costituzionale della scelta operata
dal  legislatore  di  subordinare  la  definizione  dei  procedimenti
minorili   nella   fase  dell'udienza  preliminare  al  consenso  del
difensore   anche  quando  possa  essere  emessa  sentenza  ai  sensi
dell'art. 425 c.p.p. appare non manifestamente infondata in relazione
ai seguenti parametri costituzionali:
        art.  3  Cost., in quanto si discrimina in modo irragionevole
la   situazione   degli  imputati  maggiorenni,  che  possono  essere
prosciolti  in fase g.u.p. senza bisogno che essi o il loro difensore
prestino  il consenso alla defmizione nella fase (cosi' come previsto
dall'art.  425  c.p.p.),  rispetto a quella degli imputati minorenni,
che  -  senza  sapere  se  il giudice intende o meno proscioglierli -
devono  "scommettere"  sulla  possibilita'  di essere prosciolti gia'
nell'udienza  preliminare,  accettando  peraltro il rischio di subire
una  delle  pronunzie  (stavolta  di  condanna) previste dall'art. 32
d.P.R.  n. 448/1988, quando piu' semplicemente il legislatore avrebbe
potuto  imporre il consenso alla definizione del procedimento in fase
di  udienza  preliminare  solo  in  caso di pronunzie di condanna. Il
problema  della  condanna  dell'imputato minorenne in sede di udienza
preliminare  era  gia'  stato  sottoposto  all'attenzione del giudice
delle  leggi,  che  con  la sent. n. 77 del 1993 aveva rimediato alla
carenza di tutela dell'imputato minorenne nel caso di concessione del
perdono  giudiziale  in  sede di udienza preliminare, evidenziando la
necessita'  di  una riforma dell'udienza preliminare, che consentisse
all'imputato  di  non  dover subire pronunzie che comunque comportano
l'affermazione  della  sua  penale  responsabilita'  allo stato degli
atti.   E'   ben  vero  che  dopo  la  riforma  dell'art.  111  della
Costituzione  il pericolo di condanne in violazione del principio del
giusto  processo  si  e'  aggravato,  ma  non sembra che questo possa
incidere   sulle  pronunzie  di  proscioglimento,  per  le  quali  la
necessita'  di  subordinare  la sentenza al consenso dell'imputato (o
del  suo  difensore,  cosi'  come viene correntemente interpretata la
norma  da questo tribunale, alla stregua di quanto previsto dall'art.
99  c.p.p.)  appare  francamente  ultronea  e, comunque, inopportuna,
giacche'  imporle  all'imputato  (e  neppure  ai  suoi  genitori o al
difensore,  stando alla lettera della legge) di scegliere se definire
il  procedimento in fase di udienza preliminare (esponendosi anche al
rischio della pronunzia di una sentenza di condanna) oppure andare al
dibattimento  (pregiudicando  cosi'  anche  la  possibilita'  di  una
sentenza  di  non luogo a procedere per irrilevanza del fatto), senza
possibilita'  di  scelte intermedie o condizionate. Tutto cio' appare
ancor  piu' assurdo se si considera che le sentenze n. 135 del 1995 e
n. 272  del  2000  hanno  rigettato  la  q.l.c. relativa alla mancata
previsione   del   patteggiamento   della  pena  nel  rito  minorile,
argomentando  proprio  dalla  personalita'  ancora  in formazione del
minore,  che  rende  inopportuno  rimettere  a quest'ultimo decisioni
cosi'  importanti,  con  la  rilevante  differenza  che  nel caso del
patteggiamento  il  minore  sa  cosa  quale  condanna sceglie, mentre
nell'ipotesi  di  cui  all'art. 32 d.P.R. n. 448/1988 egli si rimette
alla decisione del giudice;
        artt.  3  e  31 Cost., in quanto si prevede in violazione del
principio  di tutela del minore (individuato dal legislatore del 1988
nella  sua  rapida  fuoriuscita  dal circuito penale) e, comunque, in
modo  irragionevole  che il processo a carico del minore debba andare
al  dibattimento  anche  quando  l'imputato puo' essere prosciolto in
sede di udienza preliminare;
        artt.  3  e  97 Cost., in quanto si mina l'organizzazione del
lavoro  dell'ufficio  giudiziario e, comunque, si pretermette in modo
irragionevole questo valore, lasciando ad una parte del processo, che
puo' decidere senza neppure motivare, la scelta se celebrare comunque
il   giudizio  dibattimentale,  anche  quando  il  procedimento  puo'
terminare   con   sentenza  di  non  luogo  a  procedere  all'udienza
preliminare.  La  Corte ha, infatti, affermato che il canone del buon
andamento  della pubblica amministrazione deve ritenersi esteso anche
all'attivita'  giudiziaria  (cfr.  sent. n. 86/1982 e 18/1989, fra le
altre) e nel caso di specie non si puo' non rilevare come subordinare
al  consenso  immotivato  della  parte la possibilita' di emettere le
pronunzie   previste  dall'art.  425  c.p.p.  rappresenti  una  grave
anomalia  del  sistema,  che  invece  e'  sempre  piu'  basato  sulle
potenzialita'  definitorie  dell'udienza  preliminare.  Tale  profilo
appare particolarmente pertinente nel caso di specie, in quanto e' di
tutta  evidenza  come in caso di mancato accoglimento della questione
si  dovra' celebrare un dibattimento il cui esito e' scontato gia' in
partenza;
        artt.  3  e  111  Cost., in quanto si subordina la durata del
processo  all'immotivata scelta della parte, che pur potendo ottenere
il  proscioglimento  anche  in  sede  di  udienza  preliminare,  puo'
costringere  il  giudice  a  disporre il rinvio a giudizio. Sul punto
giova  ricordare  che  con  l'inserimento dell'art. 425, terzo comma,
c.p.p.  (e  di  piu'  ampi  poteri  istruttori  concessi  al  giudice
dell'udienza  preliminare,  la  cui previsione e' stata peraltro piu'
volte  sollecitata  dalle sentenze della Corte costituzionale in anni
recenti) si e' osservato - correttamente ad avviso di questo collegio
-  che  sara' piu' difficile il ricorso alla revoca della sentenza di
non  luogo  a  procedere, con una sostanziale parificazione di questa
pronunzia a quella prevista dall'art. 530 c.p.p.